Se tu permetti alla tua luce di splendere, tu inconsciamente dai agli altri il permesso di fare lo stesso. Così tu sei liberato dalle tue paure, la tua presenza automaticamente libera gli altri (Nelson Mandela)
Da tempo il viaggio rappresenta non solo un momento di svago ma anche un’occasione di incontro con l’alterità.
Con questo spirito decido di accettare l’invito di Gabriella a passare l’inizio del nuovo anno in Camerun. Gabriella si offre generosamente di ospitarmi, di accompagnarmi in questo viaggio e di visitare anche i diversi progetti che Cam to Me sostiene a Garoua grazie alla generosità dei suoi soci ed amici. Il mio ultimo viaggio in Africa risale a parecchi anni prima, quindi sono eccitato all’idea di ritornarci, questa volta per vedere di persona quanto viene sostenuto da qui, dall’Italia.
Il 30 dicembre salgo sul volo che mi porterà a Nairobi e da qui a Yaoundé, capitale del Camerun. Prima di arrivare a destinazione, però, a causa di un problema tecnico all’aereo siamo costretti ad un atterraggio non previsto a Kigali, in Ruanda. Il viaggio incomincia con l’eco che giunge da quella terra martoriata, giusto vent’anni orsono, da uno dei più crudeli genocidi del XX secolo che ha visto uccidere oltre 800.000 suoi figli nell’arco di pochissimi mesi. La prima immagine che mi si presenta davanti è che nell’animo di ogni uomo lottano sia la luce sia le tenebre, entrambe portatrici di forze in grado di espandersi all’intorno anche se con conseguenze molto differenti l’una dall’altra …
Se la scelta cade sulla prima opzione, si liberano energie capaci di “grattare” via dal volto delle persone quella patina creata dalla storia, dai pre-giudizi oppure dai più svariati interessi, per restituire l’immagine dell’umano di cui ognuno è portatore e a cui ogni uomo credo abbia il diritto-dovere di tendere.
Con un paio d’ore di ritardo, arrivo finalmente a Yaoundé. Senza valigia. Quella è rimasta ad Abu Dhabi e mi raggiungerà a Garoua cinque giorni dopo. Non ho alcun effetto personale con me (odio trascinarmi negli aeroporti con bagagli ingombranti al seguito). In attesa di ripartire l’indomani mattina e nonostante non abbia nulla (si fa per dire … mi riferisco agli effetti personali di cui sopra), Tina mi ospita al CASS (Centre d’animation sociale et sanitaire) del COE rifocillandomi e prestandomi il necessaire per una doccia rigeneratrice, mentre Gabriella acquista indumenti e articoli vari che mi farà trovare in camera in giorno dopo.
Mi vengono in mente le parole “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle […] riceverà cento volte tanto …”. Senza metterla giù più dura di quello che è stato, tutto sommato si è trattato di un semplice disguido, mi ritrovo a pensare che, sì, mi piace il mondo della missione e della cooperazione internazionale. Ti fa sentire a casa lontano da casa …
Con queste premesse, trascorro il tempo visitando sia i progetti promossi da Cam to Me sia quelli di altre realtà presenti sul territorio (quali PIME, COE). Conoscere di persona coloro di cui ho sentito solo parlare, collaboratori di Cam to Me e amici di Gabriella. Percorrere strade polverose per visitare villaggi e missioni dispersi nella savana, sentire raccontare storie di vita vissuta oppure ritrovarsi aggrappato al collo un piccolo orfano che molto probabilmente non aspetta altro che di avere una famiglia tutta sua. Vivere situazioni di vita quotidiana: aiutare a fare la spesa in improbabili “supermercati”, mangiare in ristoranti i cui tavoli danno direttamente in strada e fare un giro in moto al mercato. Entrare anche in un carcere, incrociare lo sguardo di centinaia di detenuti e domandarsi se si stanno chiedendo che cosa ci faccio, se sono là per qualcuno di loro.
Difficile trovare una sintesi dopo tante sollecitazioni, concentrate per giunta in una manciata di giorni. Ci provo, e porto a casa tre immagini.
La prima. Superare il concetto del “fare” per giungere a quello di “fare insieme”. In questo ritrovo tutto lo spirito che anima Cam to Me, che si pone sempre l’obiettivo di valorizzare e responsabilizzare le realtà locali. I progetti sostenuti in Camerun sono già passati in carico alla Diocesi e credo che questo sia il miglior riconoscimento dell’attività svolta da Gabriella.
La seconda. L’Africa insegna: “Se c’è qualcosa, o è per tutti o non è per nessuno”. Certo, detto in un Continente che in generale non ha grosse risorse ovvero non le destina con equità in favore della popolazione, sembra una contraddizione. Mi sorprende però vedere come, nonostante tutto, la dimensione comunitaria, il senso di corresponsabilità e di condivisione siano ancora diffusi a diversi livelli.
Infine la sede dei progetti di Cam to Me: una graziosa abitazione a cui è stato dato il nome di “Oasi solidale”. Un posto che, come dice il nome, rappresenta un luogo dove è ancora possibile fermarsi e sostare. Il Centro è circondato da un muro ma il cancello è aperto. Dall’interno si vedono passare sulla strada diverse persone. Non tutte si fermano. Non tutte possono essere aiutate. Chi entra viene però accolto, ascoltato e ove possibile sostenuto. Sì, è proprio un’oasi. Ci si ferma e si riparte, spesso con qualche domanda in meno e qualche aiuto in più.
Fare insieme, con-dividere le risorse, creare occasioni per ri-partire.
Anche io ri-parto dall’Africa, mentre Cam to Me resta a lavorare in queste tre direzioni affinché ciò che è in grado di stimolare la luce di ognuno si propaghi mediante ciò che è bello, in una sorta di “modalità contagiosa” che permetta cammini di liberazione per essere pienamente umani.
Alla Comunità Missionarie Laiche, in particolare Gabriella, e a Cam to Me un sentito grazie per aver permesso questo viaggio.