Il Centro S. Elisabetta in Cambogia, è una realtà nata e, per diversi anni, sostenuta da Cam to Me.
Dai primi passi che si sono mossi, di anni ne sono passati 18 ma….quali sono state le origini di tale progetto?
L’impegno sanitario da parte della Comunità Missionarie Laiche (CML) presente in Cambogia dal 1996, è sempre stato un ambito di emergenza da affrontare e che si è via via sempre più concretizzato nel tempo.
In quegli anni, nonostante la situazione di relativa stabilità politica e sociale, pochissimo veniva fatto in ambito sanitario per sviluppare un senso di cura per la vita e per poter prevenire e affrontare una malattia. Questa seria situazione era abbastanza omogenea in tutta la Cambogia ma, un’ulteriore gravità si presentava soprattutto per i tanti che vivevano nei diversi villaggi delle province periferiche con uno squilibrio dell’assistenza sanitaria per la popolazione cambogiana e vietnamita.
Un primo fondamentale problema era legato allo scarso livello d’istruzione della gente nei villaggi a seguito degli anni tremendi che avevano vissuto durante il genocidio di Pol Pot 1975-79 e dei Khmer rossi, per cui la gente sopravvissuta, ma con traumi fisici e psicologici, non aveva un’idea chiara dell’importanza dell’igiene, delle quotidiane norme per mantenersi in salute e delle consuetudini positive per la cura del corpo e della vita.
Il background appena descritto giustificava l’elevata incidenza di malattie infettive AIDS, TBC, Epatite B e gravi infezioni di vario genere.
Nei villaggi dove la CML era impegnata, grazie ai rapporti che si erano costruiti con la gente e a quanto, soprattutto le donne, ascoltavano durante gli incontri di educazione sanitaria e prevenzione sempre messa al centro dell’attività, con sempre meno timore le persone venivano a chiedere un aiuto per loro o per qualcuno che sapevano non star bene all’interno del villaggio.
E’ stato dunque su richiesta dei cambogiani stessi che abbiamo iniziato a trovare anche persone malate di tumore in stadi avanzati, abbandonati a loro stessi.
Persone povere che non avevano possibilità di far nulla per curarsi, per non arrivare a stadi elevati di malattia. Famiglie sempre più in difficoltà, madri di famiglia che morivano senza alcun supporto e vedendo spesso abbandonati i loro figli.
Esclusa la capitale, a livello provinciale non esistevano -tranne poche eccezioni- ospedali dove poter essere ricoverati e seguiti e comunque, pur essendo queste strutture pubbliche, occorreva pagare tutto e comprarsi nelle farmacie tutto l’occorrente ad esempio per dover essere operati.
Altro elemento negativo era l’elevato livello di corruzione all’interno delle strutture sanitarie.
E’ chiaro dunque che la gente dei villaggi non era nelle condizioni di potersi curare.
Inoltre in quei luoghi,
1) la qualità dell’assistenza era molto mediocre: non esisteva la minima concezione di “diritto del malato”, ma al contrario il rapporto medico-malato era spesso basato su soprusi verbali e non rispetto della dignità della persona.
2) generalmente le indicazioni per accedere al corretto servizio ospedaliero erano confuse e spesso i malati si sentivano smarriti, impauriti, non comprendevano come assumere eventuali terapie, con il rischio di peggiorare la situazione e, a quel punto, decidere di rivolgersi allo “stregone del villaggio” secondo l’animismo locale in relazione agli spiriti, purtroppo indebitandosi e perdendo quel poco che possedevano.
Era presente in Phnom Penh un ostello per malati legato alla Parrocchia principale, ma era insufficiente rispetto alle richieste da parte di malati poveri della città e dalle province che necessitavano aiuto per essere curati nelle strutture sanitarie presenti.
In ogni comunita’ cristiana era presente un comitato “per i malati”, che si occupava di favorire, secondo le proprie possibilita’ e conoscenze, la risoluzione dei problemi legati alla condizione malattia.
Anche la comunita’ cristiana della parrocchia di Boeung TumPun in Phnom Penh dove era parroco P. Mario Ghezzi (PIME) aveva deciso di impegnarsi piu’ decisamente per i malati e, la sua collocazione, avrebbe favorito la relazione con i servizi che la capitale a livello sanitario poteva offrire.
Fu così che nell’estate del 2006, ci fu un incontro tra la Comunità Missionarie Laiche (CML) e p. Mario , per valutare la possibilità di creare un Centro per malati, che venne chiamato S.Elisabetta, che potesse accogliere soprattutto persone malate di tumore che nessuno era ancora in grado di accogliere.
Si cominciò a pensare ad un Progetto per la realizzazione di un luogo di accoglienza ed appoggio per persone malate provenienti dai villaggi per un primo alloggio e per un orientamento guidato e competente verso servizi sanitari esistenti.
Il coinvolgimento della CML prese in considerazione la disponibilità di Paola Maiocchi, infermiera professionale, a lavorare per il Progetto ritenuto da tutte valido, fattibile e promettente.
La CML oltre alla presenza attiva in loco di Paola, si rese disponibile come soggetto attivo, anche a coinvolgersi economicamente con l’impegno di Cam to Me dall’Italia.
Gli altri soggetti sarebbero stati il Pime ( nella persona di P. Mario Ghezzi) e la Chiesa locale.
A questo punto non restava che presentare la proposta all’allora Vescovo P. Emile Destombes che Paola e Stefania ( della CML e che era presente a Kampong Chhnang seguendo le attività di carattere sanitario ) incontrarono nella sua casa il 17 novembre 2006.
Il vescovo ascoltò con grande interesse e soprattutto manifestò il suo appoggio e la sua stima per l’avvio del Progetto.
Gli obiettivi di tale centro si è deciso dovessero ruotare attorno al motto di don Milani “I CARE”, con un approccio di tipo olistico con attenzione si alla malattia, ma anche all’aspetto psicologico e spirituale.
A quel punto, era necessario avere collaboratori locali con una preparazione professionale per poter assicurare l’accompagnamento e la guida delle persone malate nei diversi centri di salute e ospedali, seguendo tutti i passi che ogni singola situazione avrebbe richiesto.
E’ per questo che alcuni giovani che avevano studiato fino alla classe dodicesima con indirizzi differenti, hanno iniziato a frequentare quotidianamente il Centro come volontari vivendo fin da subito a contatto con i malati e 6 di loro hanno deciso di orientarsi con ulteriori studi nell’ambito della medicina frequentando in 4 il corso di Scienze Infermieristiche e 2 medicina .
I malati che arrivavano (pensate a quelli che arrivavano dai villaggi, analfabeti, che non avevano mai visto la città), trovavano un luogo pulito, bello, accogliente, un’alimentazione adeguata, con persone pronte ad accoglierli e ad accompagnarli in un iter che comprendeva l’ospedalizzazione, la comunicazione con lo staff medico ospedaliero, un’intervento chirurgico, magari chemioterapia, una convalescenza al S. Elisabetta o cure palliative.
Un ulteriore obiettivo di strategica importanza è stato da subito quello educativo, attraverso incontri di formazione di educazione sanitaria e prevenzione all’interno del Centro sia per le persone malate che per i loro accompagnatori ( spesso arrivavano al Centro anche i figli delle donne che erano presenti altrimenti quest’ultime, dopo qualche giorno, chiedevano di poter tornare da loro interrompendo il processo di cura).
Contemporaneamente questa stessa formazione veniva proposta alle famiglie che seguivamo nei villaggi e ai referenti dei Centri di salute e nelle differenti comunità cristiane.
I referenti dei villaggi si sarebbero poi presi cura dei malati curati in capitale, una volta rientrati ai loro villaggi.
I malati gravi, più debilitati e lungodegenti che arrivavano al Centro S. Elisabetta erano in media per il 60% donne che in Cambogia tutt’ora vivono sicuramente una situazione di ineguaglianza. Diverse erano malate di tumore al seno e a carico dell’apparato riproduttivo.
Fin da subito si è cercato anche di creare una rete di rapporti e collaborazione con tutte le realtà che in capitale lavoravano nell’ambito sanitario, da qualche medico più sensibile negli ospedali, a ONG come Dolore senza Frontiere, a realtà che hanno permesso cure palliative o accesso a farmaci per il trattamento dei tumori.
Inoltre importanti rapporti con assistenti sociali che hanno offerto allo staff un corso di 6 mesi per divenire counselor.
Collaborazioni e risorse che sono continuate nel tempo anche con medici dall’estero per la formazione continua del personale del Centro e referenti della salute.
Ad oggi, con il personale competente e motivato nei confronti dei più fragili, il Centro per malati S. Elisabetta continua il suo prezioso servizio.
E’ formato da 6 stanze per i malati, 12 posti letto.
In un anno vengono seguite dalle 10 alle 30 persone ( oltre a quelle che continuano ad essere seguite nei villaggi e province).
Come dicono le amiche ed amici che lavorano al Centro, le persone seguite non sono tante ma, è la qualità della cura che viene “curata”, oltre al lavoro importante di educazione sanitaria e prevenzione che viene proposta ai pazienti e ai familiari.
Un luogo dunque che nel tempo ha continuato ad essere attivo nelle mani di giovani cambogiani e vietnamiti, punto di riferimento e di confronto per le persone malate e anche per altre realtà che prestano il loro servizio in ambito sanitario.
2006-2024…Sono passati 18 anni da quel dialogo ed incoraggiamento da parte del Vescovo Emile e dall’aver mosso i primi passi.
Attualmente Cam to Me non sostiene più direttamente tale Progetto, ma il Centro S. Elisabetta continua ad essere punto di riferimento delle persone malate che vivono nella Provincia di Kampong Chhnang per il Progetto Babele e Solidarietà K.Chhnang e per il Progetto Disabilità (è possibile consultare i progetti nel sito).
Non possiamo che essere content* di quanto si è fatto fino ad oggi, ringraziamo coloro che sostengono le attività di Cam to Me e ci auguriamo che l’impegno di vicinanza alle persone malate continui e possa essere anche un faro di luce e speranza per la società in Cambogia.